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Fotogiornalismo - legalità, verità e disinformazione

Mostre - proiezioni - conferenze - professione - editoria. Una proposta che affronta temi sociali legati alla legalità e alla comunicazione, approfondendo il ruolo del fotografo come testimone degli avvenimenti unitamente a quello dell’informazione, spesso influenzata da fattori dominanti, con un focus sulla condizione femminile nei luoghi ostili.

 

L’Archivio Fotografico Italiano, con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Castellanza e in collaborazione con il Festival di Filosofia FILOSOFARTI, con riferimento al tema 2020: Doxa, episteme/Opinione e verità, propone tre mostre e tre conferenze con la finalità di approfondire, in chiave giornalistica, i concetti soggettivi dell’informazione, attraverso testimonianze dirette di alto valore professionale.
La Villa Pomini di Castellanza torna ad esser un punto di riferimento privilegiato per la fotografia d’autore, per di interrogarsi sulla società contemporanea.

LE MOSTRE:

GIORGIO BIANCHI SIRIA, IL LENTO RITORNO ALLA VITA

Parlare di Siria è sempre molto difficile.
Riallacciare le fila di un conflitto che dura oramai da 8 anni che conta 500.000 morti, 2,5 milioni di feriti e mutilati, 6 milioni di sfollati e danni materiali per 400 miliardi di dollari, richiederebbe un trattato.
Nessuno sa esattamente quali e quanti soggetti abbiano preso parte ad un conflitto che molti si ostinano ancora a definire “guerra civile”: sul campo, a fronteggiare i soldati del Syrian Arab Army (SAA) e gli alleati russi e iraniani (presenti sul territorio in maniera legale in base al diritto internazionale, perché invitati dal legittimo governo rappresentato all’ONU ad affiancare il proprio esercito), si contano combattenti provenienti da mezzo mondo che hanno ingrossato le fila di milizie mercenarie spalleggiate da paesi quali Turchia, Arabia Saudita, Qatar, USA, Francia, Gran Bretagna e Israele, solo per citare quelli che hanno svolto un ruolo più attivo.
Il 21 maggio 2015 l’ISIS dichiarava conquistata la città di Palmira e il suo sito archeologico dando inizio ad uno dei peggiori scempi contro il Patrimonio culturale dell’Umanità della storia recente. La furia iconoclasta della soldataglia del califfato, nel periodo dell’occupazione del sito Patrimonio UNESCO, non risparmiò neanche il museo cittadino e molti dei tesori architettonici compresi nell’area archeologica tra cui il tempio di Bel (simbolo di fusione tra i culti romani e orientali), il tempio di Baalshamin, il tetrapilo e il teatro romano.
Dal punto di vista dei jihadisti distruggere patrimonio archeologico della Siria significava soffocare qualsiasi rivendicazione nazionalista, essendo i siti archeologici considerati potenziali minacce in grado di alimentare il sentimento nazionale siriano, in contrapposizione al panislamismo propagandato dall’ISIS. Bisogna tuttavia sottolineare che l’iconoclastia dei jihadisti, in questi anni di devastazioni, è stata piuttosto selettiva, in quanto ha risparmiato tutti i piccoli oggetti facilmente trafugabili e trasportabili.
Oggi la popolazione siriana sta cercando di tornare alla normalità.
Mentre le sanzioni internazionali stanno strangolando il paese agendo come una moderna forma di assedio medievale, il governo, non essendo ancora riuscito a riprendere il controllo della zona dei pozzi petroliferi occupata al momento dai militari statunitensi, deve fare i conti anche con l’indisponibilità di una risorsa essenziale per l’economia della Siria.
Questo aspetto, oltre a far lievitare il costo del carburante, tra strascinando al rialzo anche i prezzi dei generi di prima necessità, con conseguenze disastrose sui bilanci familiari dei siriani. Il combinato disposto dell’aumento dei prezzi e della svalutazione della lira siriana (e quindi del potere di acquisto dei salari), sta mettendo a dura prova la resilienza della popolazione.
Molte delle aree che oggi iniziano lentamente a ripopolarsi, hanno le sembianze di luoghi sopravvissuti ad un olocausto nucleare nei quali i superstiti si muovono come ombre.
Le attività commerciali cominciano a riaprire i battenti mentre alcune famiglie, non riuscendo a far fronte per via della crisi alle rate degli affitti nelle zone non toccate dalla guerra, iniziano a fare ritorno presso le loro abitazioni, anche in quelle situate nelle aree colpite maggiormente dai combattimenti.
Nonostante le condizioni di vita durissime, la maggior parte dei siriani ritiene che la fase peggiore della crisi sia oramai alle spalle e che si possa finalmente guardare al futuro con ottimismo.
Giorgio Bianchi è un fotogiornalista, fotografo documentarista e filmmaker italiano nato nel 1973. Ha realizzato reportage in Europa, Siria, Ucraina, Burkina Faso, Vietnam, Myanmar, Nepal, India.
Nella sua fotografia Giorgio ha sempre posto particolare attenzione alle tematiche di carattere politico e antropologico, alternando i progetti personali a lungo termine ai lavori su commissione.
Dal 2013 ha compiuto diversi viaggi in Ucraina per documentarne attraverso immagini e video la crisi, a partire dagli scontri di Euromaidan fino all’odierno conflitto nel Donbass. Con il materiale raccolto negli anni sulla guerra in Ucraina sta realizzando un docu-film dal titolo “Apocalypse Donbass”, che è stato selezionato tra i progetti finalisti nell’edizione 2017 dei DIG Awards pitch session. Dal 2016 ha iniziato ad occuparsi del conflitto siriano.
Il lavoro di Giorgio ha ricevuto numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali e viene pubblicato regolarmente su riviste e giornali sia cartacei che online. Le sue immagini sono state esposte sia in Italia che all’estero. Giorgio Bianchi è attualmente rappresentato da Witness Image.
Principali mostre: Festival of Ethical Photography 2017 (Lodi), Strand Gallery (London), Royal Geographical Society (London), MIBAC (Rome), A.F.I. Archivio Fotografico Italiano Palazzo Cicogna (Varese), La Fabbrica del Vapore (Milan), C40 Mayors Summit (Mexico City), Beijing Photo 2017.
Principali pubblicazioni: Guardian Magazine, National Geographic, Internazionale Magazine,
La Stampa, Il Giornale, Il Venerdì, La Repubblica, Il Manifesto, Sette Magazine Corriere della Sera, Gente di Fotografia Magazine, Fotografia Reflex Magazine e molte altre gallerie on line.
Ha ricevuto i seguenti premi: Best New Talent nel 2014 al PX3 competition, overall winner at the 2014 Terry O’ Neill Award, Discovery of the year at the 2014 Monochrome Award, vincitore nel 2015 al Lugano Photo Days finalista nel 2014, 2015, 2016 al Manuel Rivera-Ortiz Foundation for Documentary Photography & Film, Grant e vincitore al Umbria World Fest 016, selezionato per il 2015 Prix Pictet, Top Finalist al 2016 Visura Photojournalism Grant, Finalista al LensCulture Exposure awards/17, Finalista ai DIG Awards 2017 (Pitch session) con il docufilm Apocalypse Donbass, vincitore dell’edizione 2017 del World Report Award, finalista al POYi 75th, 1st place winner at the 2018 Moscow International Foto Awards.

 

GIOVANNI MEREGHETTI RWANDA, GLI ALTRI CENTO GIORNI

Poco meno di un quarto di secolo fa, in questo meraviglioso angolo di Africa che chiamano
Poco meno di un quarto di secolo fa, in questo meraviglioso angolo di Africa che chiamano la terra delle mille colline, tra parchi nazionali ricchi di animali e gente dalla pelle colore la terra delle mille colline, tra parchi nazionali ricchi di animali e gente dalla pelle colore dell’ebano, dove le nubi si toccano con le mani, fu compiuto uno dei genocidi più dell’ebano, dove le nubi si toccano con le mani, fu compiuto uno dei genocidi più sanguinosi della storia dell’Africa del XX secolo. sanguinosi della storia dell’Africa del XX secolo.
Dal 6 aprile 1994 fino alla metà di luglio, per circa cento giorni, il Rwanda fu ridotto in un
Dal 6 aprile 1994 fino alla metà di luglio, per circa cento giorni, il Rwanda fu ridotto in un lago di sangue. Un miliolago di sangue. Un milione di persone vennero massacrate a colpi di machete, armi da ne di persone vennero massacrate a colpi di machete, armi da fuoco e bastoni chiodati. Le vittime furono a maggioranza ruandesi di etnia tutsi, ma fuoco e bastoni chiodati. Le vittime furono a maggioranza ruandesi di etnia tutsi, ma neanche la minoranza hutu moderata venne risparmiata.neanche la minoranza hutu moderata venne risparmiata.
Nonostante la comune fede cristiana tra hutu e tusti, l
Nonostante la comune fede cristiana tra hutu e tusti, l’odio tra le due etnie è sempre stato ’odio tra le due etnie è sempre stato diffuso fin dal periodo del colonialismo. Infatti furono i belgi ad accentuare e a creare una diffuso fin dal periodo del colonialismo. Infatti furono i belgi ad accentuare e a creare una differenza, non solamente sociale ma legata anche all’aspetto fisico: gli hutu sono medio differenza, non solamente sociale ma legata anche all’aspetto fisico: gli hutu sono medio bassi, mentre i tutsi sono snelli bassi, mentre i tutsi sono snelli con lineamenti del viso più sottili. Durante tutta la con lineamenti del viso più sottili. Durante tutta la permanenza dei belgi a Kigali, ai tutsi fu dato un incarico di potere, mentre gli hutu erano permanenza dei belgi a Kigali, ai tutsi fu dato un incarico di potere, mentre gli hutu erano reclutati nelle mansioni più umili e al lavoro nei campi. La popolazione era ben divisa, non reclutati nelle mansioni più umili e al lavoro nei campi. La popolazione era ben divisa, non solo nella sociesolo nella società, ma anche sulla carta d’identità. Un timbro blu stampigliato sopra la tà, ma anche sulla carta d’identità. Un timbro blu stampigliato sopra la fotografia di riconoscimento posta nella prima pagina del documento, distingueva gli hutu fotografia di riconoscimento posta nella prima pagina del documento, distingueva gli hutu dai tutsi facendo la differenza. Da dopo il genocidio naturalmente, questa distinzione fra ldai tutsi facendo la differenza. Da dopo il genocidio naturalmente, questa distinzione fra le e etnie è stata abolita. etnie è stata abolita.
Nel 1990 il gruppo politico
Nel 1990 il gruppo politico--militare dell’RPF (Fronte Patriottico Rwandese), nato nella militare dell’RPF (Fronte Patriottico Rwandese), nato nella comunità tutsi rifugiatasi in Uganda, tentò un colpo di stato alimentando una guerra civile a comunità tutsi rifugiatasi in Uganda, tentò un colpo di stato alimentando una guerra civile a cui seguì il genocidio, con la successiva presacui seguì il genocidio, con la successiva presa al potere dell’RPF. al potere dell’RPF.
Il 6 aprile del 1994 l’aereo presidenziale dell’allora dittatore Juvenal Habyarimana, al potere
Il 6 aprile del 1994 l’aereo presidenziale dell’allora dittatore Juvenal Habyarimana, al potere dal 1973, fu abbattuto da un missile di origini ignote nei cieli di Kigali mentre era di ritorno dal 1973, fu abbattuto da un missile di origini ignote nei cieli di Kigali mentre era di ritorno da un colloquio di pace. E’ da questo preda un colloquio di pace. E’ da questo pretesto di vendetta che la Guardia Presidenziale, testo di vendetta che la Guardia Presidenziale, appoggiata dai gruppi paramilitari hutu Interahamwe diede inizio al massacro dei tutsi. In appoggiata dai gruppi paramilitari hutu Interahamwe diede inizio al massacro dei tutsi. In poche ore furono interrotte tutte le comunicazioni del paese, l’unica radio attiva in tutto il poche ore furono interrotte tutte le comunicazioni del paese, l’unica radio attiva in tutto il Rwanda era sotto il coRwanda era sotto il controllo degli hutu e veniva utilizzata all’incitamento dello sterminio ntrollo degli hutu e veniva utilizzata all’incitamento dello sterminio degli “scarafaggi”, così venivano chiamati i tutsi dall’etnia rivale. Seicentomila macheti degli “scarafaggi”, così venivano chiamati i tutsi dall’etnia rivale. Seicentomila macheti importati dalla Cina erano pronti per essere usati, la meticolosa organizzazione del importati dalla Cina erano pronti per essere usati, la meticolosa organizzazione del genocidiogenocidio curata dal colonnello Thèodeste Bagosora e dal generale Augustin Bizimungu curata dal colonnello Thèodeste Bagosora e dal generale Augustin Bizimungu stava per prendere forma in tutta la sua ferocia. stava per prendere forma in tutta la sua ferocia.
Nell’indifferenza dell’occidente che aveva percepito il problema ruandese come lontano dai
Nell’indifferenza dell’occidente che aveva percepito il problema ruandese come lontano dai propri interessi, un milione di perspropri interessi, un milione di persone stava fuggendo in Congo, in Uganda, in Burundi e in one stava fuggendo in Congo, in Uganda, in Burundi e in
Tanzania per mettersi in salvo dall’epurazione etnica in atto da parte degli hutu e dal
Tanzania per mettersi in salvo dall’epurazione etnica in atto da parte degli hutu e dal governo stesso. Fiumane di persone in un biblico cammino, si dirigevano in cerca di un governo stesso. Fiumane di persone in un biblico cammino, si dirigevano in cerca di un luogo dove stare al siculuogo dove stare al sicuro lontano dalla ferocia avversaria. Un altro milione di persone ro lontano dalla ferocia avversaria. Un altro milione di persone purtroppo furono brutalmente massacrate dalle squadre della morte, interi villaggi furono purtroppo furono brutalmente massacrate dalle squadre della morte, interi villaggi furono setacciati in cerca degli “scarafaggi” tutsi da sterminare. Neppure le chiese, dove spesso si setacciati in cerca degli “scarafaggi” tutsi da sterminare. Neppure le chiese, dove spesso si rifugiarifugiava la gente per scampare alla morte, furono risparmiate. Nelle sole chiese di va la gente per scampare alla morte, furono risparmiate. Nelle sole chiese di Nyamata e Ntarama, oggi adibite a memoriale in ricordo del genocidio, sono state Nyamata e Ntarama, oggi adibite a memoriale in ricordo del genocidio, sono state massacrate centinaia di persone rifugiatesi per scampare alla morte sicura. massacrate centinaia di persone rifugiatesi per scampare alla morte sicura.
Anche le Nazioni Unite si disinteressarono del problema, nonostante le tempestive nite si disinteressarono del problema, nonostante le tempestive richieste d’aiuto inviate dal generale canadese Romeo Dallaire, allora comandante delle richieste d’aiuto inviate dal generale canadese Romeo Dallaire, allora comandante delle forze armate di stanza nella capitale ruandese. Le duemilacinquecento unità militari dei forze armate di stanza nella capitale ruandese. Le duemilacinquecento unità militari dei caschi blu prescaschi blu presenti in Rwanda, furono ridotte a sole cinquecento dopo un mese dall’inizio enti in Rwanda, furono ridotte a sole cinquecento dopo un mese dall’inizio del genocidio. Né l’Onu e tantomeno l’occidente avevano riconosciuto il genocidio. Forse del genocidio. Né l’Onu e tantomeno l’occidente avevano riconosciuto il genocidio. Forse per mancanza di interessi diretti nella zona, o forse per non intraprendere una nuova per mancanza di interessi diretti nella zona, o forse per non intraprendere una nuova missiomissione in un’Africa dove il ricordo della battaglia di Mogadiscio, denominata Restore ne in un’Africa dove il ricordo della battaglia di Mogadiscio, denominata Restore Hope, di pochi mesi prima era ancora viva. In quell’occasione in Somalia persero la vita ben Hope, di pochi mesi prima era ancora viva. In quell’occasione in Somalia persero la vita ben diciannove marines americani. L’allora presidente Bill Clinton non voleva altri mdiciannove marines americani. L’allora presidente Bill Clinton non voleva altri morti orti americani nel Continente Nero. Da non sottovalutare è la posizione di Mitterrand e della americani nel Continente Nero. Da non sottovalutare è la posizione di Mitterrand e della Francia, che in un primo momento si schierò dalla parte dei tutsi, per poi affiancare Francia, che in un primo momento si schierò dalla parte dei tutsi, per poi affiancare successivamente gli hutu e spingerli alla rivolta. Un altro ruolo dei francesuccessivamente gli hutu e spingerli alla rivolta. Un altro ruolo dei francesi in terra si in terra ruandese fu l’addestramento dei clan del “presidente” Habyarimana, preparandoli alla ruandese fu l’addestramento dei clan del “presidente” Habyarimana, preparandoli alla carneficina più violenta. Il mondo voltò le spalle al Rwanda e quello che successe oramai lo carneficina più violenta. Il mondo voltò le spalle al Rwanda e quello che successe oramai lo sappiamo tutti, è nei libri della triste storia dell’Africa.sappiamo tutti, è nei libri della triste storia dell’Africa.
Se il
Se il genocidio ebbe fine, è solo grazie ad un esercito di tutsi esuli facenti parte del genocidio ebbe fine, è solo grazie ad un esercito di tutsi esuli facenti parte del “Rwanda Patriotici Front” che penetrò nel Paese, ormai martoriato e allo stremo, dalla “Rwanda Patriotici Front” che penetrò nel Paese, ormai martoriato e allo stremo, dalla vicina Uganda. Sotto il controllo e la guida del generale Paul Kagame, dopo qualche avicina Uganda. Sotto il controllo e la guida del generale Paul Kagame, dopo qualche anno di nno di inevitabile instabilità, si ristabilì l’ordine in tutto il Paese.inevitabile instabilità, si ristabilì l’ordine in tutto il Paese.
Oggi in molti si chiedono come mai l’atavico odio perpetrato per quasi un secolo e
Oggi in molti si chiedono come mai l’atavico odio perpetrato per quasi un secolo e rinfocolato dai colonizzatori europei, esplose solo il 6 aprile del 1994 dopo l’abbattimento rinfocolato dai colonizzatori europei, esplose solo il 6 aprile del 1994 dopo l’abbattimento dell’aedell’aereo presidenziale. Il genocidio non fu improvvisato quella mattina, era in preparazione reo presidenziale. Il genocidio non fu improvvisato quella mattina, era in preparazione da tempo. C’è la teoria che ad abbattere l’aereo furono addirittura gli hutu, per avere un da tempo. C’è la teoria che ad abbattere l’aereo furono addirittura gli hutu, per avere un appiglio di accusa nei confronti dei tutsi e dare inizio allo sterminio di maappiglio di accusa nei confronti dei tutsi e dare inizio allo sterminio di massa.ssa.
Il 18 dicembre 2008 il tribunale internazionale speciale istituito ad Arusha, nella confinante
Il 18 dicembre 2008 il tribunale internazionale speciale istituito ad Arusha, nella confinante Tanzania, ha condannato all’ergastolo alcuni membri dell’ex governo di Kigali, tra cui anche Tanzania, ha condannato all’ergastolo alcuni membri dell’ex governo di Kigali, tra cui anche il generale Bagosora, allora capo del Ministero della Difesa ruil generale Bagosora, allora capo del Ministero della Difesa ruandese e ritenuto il principale andese e ritenuto il principale ideatore del genocidio che costò la vita a circa un milione di persone. ideatore del genocidio che costò la vita a circa un milione di persone.
L’inizio di una stabilità sociale nel Rwanda ha favorito già dal 1995, una notevole crescita
L’inizio di una stabilità sociale nel Rwanda ha favorito già dal 1995, una notevole crescita economica che oggi lo porta ad essere, seppur la sua econoeconomica che oggi lo porta ad essere, seppur la sua economia fosse piccola e mia fosse piccola e prevalentemente fondata sull’attività agricola, il paese africano con un PIL che sfiora il dieci prevalentemente fondata sull’attività agricola, il paese africano con un PIL che sfiora il dieci per cento e un’inflazione che si è stabilizzata al tre per cento annuo. per cento e un’inflazione che si è stabilizzata al tre per cento annuo.
Oggi il Rwanda vanta primati inimmaginabili: le donne ricopron
Oggi il Rwanda vanta primati inimmaginabili: le donne ricoprono la maggior parte dei ruoli o la maggior parte dei ruoli amministrativi, il novanta per cento degli abitanti ha l’assicurazione medica, un milione di amministrativi, il novanta per cento degli abitanti ha l’assicurazione medica, un milione di poveri è stato sollevato dalla povertà, ma soprattutto il Rwanda è un Paese in pace. poveri è stato sollevato dalla povertà, ma soprattutto il Rwanda è un Paese in pace.
Nonostante ciò, c’è chi denuncia l’autorità del
Nonostante ciò, c’è chi denuncia l’autorità del presidente Paul Kagame in quanto i diritti, sia presidente Paul Kagame in quanto i diritti, sia civili che politici, pare siano stati ridotti. Ad oggi però, circa un milione di rifugiati fuggiti nei civili che politici, pare siano stati ridotti. Ad oggi però, circa un milione di rifugiati fuggiti nei paesi limitrofi, sono quasi tutti rientrati nei propri villaggi ed oggi il Rwanda è un paese paesi limitrofi, sono quasi tutti rientrati nei propri villaggi ed oggi il Rwanda è un paese resuscitato resuscitato e sicuro. e sicuro.
Attualmente è in atto un progetto denominato “Visione 2020” per la lotta contro la
Attualmente è in atto un progetto denominato “Visione 2020” per la lotta contro la
povertà, che comprende anche la privatizzazione e la liberalizzazione delle attività
povertà, che comprende anche la privatizzazione e la liberalizzazione delle attività imprenditoriali, allo scopo di raggiungere una crescita economica duratura. Limprenditoriali, allo scopo di raggiungere una crescita economica duratura. Le maggiori e maggiori esportazioni del Paese sono il caffè e il tè. Quest’ultimo è considerato uno dei migliori al esportazioni del Paese sono il caffè e il tè. Quest’ultimo è considerato uno dei migliori al mondo, mentre il caffè costituisce il cinquanta per cento del valore totale delle mondo, mentre il caffè costituisce il cinquanta per cento del valore totale delle esportazioni. Negli ultimi anni si stanno facendo importanti investimeesportazioni. Negli ultimi anni si stanno facendo importanti investimenti nel turismo, nti nel turismo, nell’industria dei fiori e nel pesce di allevamento. E’ recente la notizia che il RIPA (Rwanda nell’industria dei fiori e nel pesce di allevamento. E’ recente la notizia che il RIPA (Rwanda Investment Promotion Agency) ha aperto le porte agli investitori stranieri, l’obiettivo è Investment Promotion Agency) ha aperto le porte agli investitori stranieri, l’obiettivo è quello di condurre l’economia del piccolo stato africaquello di condurre l’economia del piccolo stato africano verso un avvenire migliore e no verso un avvenire migliore e soprattutto creare una stabilità duratura. soprattutto creare una stabilità duratura.
Nel Rwanda di oggi, nessuno parla più di quei cento interminabili giorni dove fu seminata
Nel Rwanda di oggi, nessuno parla più di quei cento interminabili giorni dove fu seminata paura e morte senza tregua. Kigali è una città moderna, le nuove generazioni guardano paura e morte senza tregua. Kigali è una città moderna, le nuove generazioni guardano avanavanti verso il futuro. La tecnologia è arrivata anche in questo angolo di Africa, i giovani ti verso il futuro. La tecnologia è arrivata anche in questo angolo di Africa, i giovani passeggiano nei quartieri del centro con lo sguardo perennemente incollato al monitor di passeggiano nei quartieri del centro con lo sguardo perennemente incollato al monitor di uno smartphone, mentre i pollici si muovono veloci sul vetro della tastiera touno smartphone, mentre i pollici si muovono veloci sul vetro della tastiera touch. Sono alla uch. Sono alla ricerca di qualcosa di nuovo, senza però dimenticare la storia passata. Quella che si ricerca di qualcosa di nuovo, senza però dimenticare la storia passata. Quella che si nasconde tra le mille colline.nasconde tra le mille colline.
Giovanni Mereghetti, fotogiornalista e docente.
Inizia la sua attività di fotografo nel 1980 come free-lance.
Successivamente collabora con le più importanti agenzie italiane ed estere specializzandosi in reportage geografico e fotografia sociale.
Nel corso della sua carriera ha documentato l’immigrazione degli anni ’80 a Milano, il ritiro delle truppe vietnamite dalla Cambogia, la via della seta da Pechino a Karachi, l’embargo iracheno, gli aborigeni nell’anno del bicentenario australiano nonché le popolazioni Nuba del Sudan. Negli ultimi anni si è dedicato a ricerche fotografiche di carattere sociale nelle carceri italiane e allo studio dei flussi migratori provenienti dall'Africa Occidentale.
E’ autore dei libri “Bambini e bambini” (Mesero), “Piccoli Campioni” (Pubblinova), “Ciao Handicap!” (Click), “Omo River e dintorni” (Periplo Edizioni), “Bambini Neri” (Les Cultures – Sahara el Kebira), “Friendship Highway ...verso il Tibet” (Bertelli Editori), “Destinazione Mortirolo” (Bertelli Editori), “Nuba” (Bertelli Editori), “Da Capo Nord a Tombouctou… passando per il mondo” (Immagimondo-Bertelli Editori), “Veli” (Les Cultures Edizioni) e "Hotel Bel Sit, storie di Migranti (Bertelli Editori).
Grazie all'esperienza maturata nel settore dello styling per conto di un'importante azienda italiana, nel 2010 fonda Spazio Foto Mereghetti, laboratorio di ricerca e comunicazione visiva, operante nel settore dell'immagine di design e nella creazione di concept aziendali.
I suoi lavori sono stati esposti in mostre personali e collettive presentate in Italia e all’estero.
Le sue opere fotografiche fanno parte della collezione dell'Archivio Fotografico Italiano.
Vive e lavora in provincia di Milano.


 

UGO PANELLA AFGHANISTAN, LA VITA E’ COME UN AQUILONE

Sono tornati a volare gli aquiloni in questo venerdì di ramadan, sulla collina che domina Kabul.
La cantilena del Muezzin ricorda a tutti l’ora della preghiera.
Sono trascorsi 18 anni dal momento in cui il primo aquilone, su questa stessa radura, riprese il suo volo rincorso da un bambino.
I talebani li avevano proibiti, come tante altre attività ludiche censurate in nome di una morale religiosa che nutriva il loro fanatismo ed il loro potere.
La libertà di tornare a volare con i triangoli di carta è una delle rare conquiste visibili che questa guerra di liberazione è riuscita a regalare alla popolazione afgana.
Eppure, le promesse di allora urlate al mondo, recitavano tante buone intenzioni rimaste tali.
Qualcuna si è persa per distrazione, altre sacrificate ad interessi e convenienze.
Per chi è costretto a vivere un quotidiano avaro di speranze concrete, in un luogo senza apparente identità, fatica a riconoscersi in quelle promesse che avrebbero dovuto regalare democrazia, progresso e pace stabile. In sostanza, la certezza di una vita meno complicata.
Il centro di Kabul sta cambiando solo per la novità di un centro commerciale e per nuove palazzine pretenziose, del tutto estranee al paesaggio urbano.
Il resto sono check-points militari e barriere di cemento armato a proteggere ambasciate ed obiettivi sensibili dalla furia dei martiri con la vocazione al sacrificio allenato nelle madrasse.
Attentati kamikaze, rapimenti, strade insicure, sono gli ingredienti di un quotidiano ancora difficile.
Nel frattempo le forze militari internazionali (ISAF) hanno saggiato gli armamenti più sofisticati e stanato i terroristi alzando il bilancio delle vittime civili con numeri a più zeri….come risultato di una “ bonifica “ di cui si avvantaggia l’odiato nemico. Una riflessione a parte meritano le conseguenze meno note, dovute agli esodi dai villaggi, l’esposizione a malattie che non possono essere curate perché lontani dei centri di salute, l’aumento esponenziale di una criminalità figlia del conflitto.
Sullo sfondo, sopravvive una popolazione che viene periodicamente spogliata, violentata e sfruttata dal signore di turno.
I talebani stanno riconquistando territori e consensi da una popolazione stremata da 40 anni di guerra ininterrotta. Il grande gioco vede la Russia protagonista indiretta e che non ha mai abbandonato l’idea di un Afghanistan complice ed alleato, che favorisca l’espansionismo in quell’area dell’Asia Centrale.
Dall’altra parte un occidente che protegge i propri interessi strategici, economici e geopolitici, sostenendo governi fragili e corrotti.
Il tutto alimentato da un mercato, sempre più fiorente, della droga e che vede l’eroina al primo posto nelle esportazioni. Oggi copre l’80% del PIL nazionale. Ovviamente il mercato delle armi ne ha un vantaggio straordinario e arricchisce i signori della guerra ed i loro eserciti personali.
In Afghanistan circola un detto che dice “ chi non muore di guerra, muore di droga “. Una nuova generazione si sta distruggendo con la siringa nel braccio, per sfuggire ad un quotidiano che promette solo insicurezza e disoccupazione.
UGO PANELLA inizia la carriera di fotogiornalista documentando i conflitti in Centro america alla fine degli anni ’70. In particolare, la guerra civile in Nicaragua e più ntardi, quella in Salvador. In questo Paese ha realizzato un reportage in collaborazione con UNCHR ( alto Commissariato per i Rifugiati ) sugli atti di pace e la deposizione delle armi da parte del gruppo guerrigliero “ Farabundo Martì “ alla fine degli anni ’80. Atti che potevano fine ad un decennio di massacri.
La passione per la fotografia di denuncia e impegno civile, lo ha portato in vari luoghi del mondo dove la vita quotidiana è fatta di violenza e dove la dignità umana non ha valore.
In Bangladesh ha documentato la fatica di migliaia di uomini che nel porto di Chittagong, smantellano navi cargo a due dollari al giorno, in condizioni di lavoro difficili.
In Egitto, al Cairo, la vita in un cimitero abitato da un milione di senzatetto che hanno fatto delle tombe la loro dimora.
Sempre in Bangladesh, in collaborazione con l’inviata esteri di Repubblica Renata Pisu, ha realizzato un lungo reportage sulla condizione di migliaia di ragazze sfigurate dall’acido solforico perché rifiutano le “avances” di uomini violenti. Questo lavoro è stato pubblicato dalle maggiori testate internazionali ed ha costretto il governo di quella nazione a cam,biare le leggi, introducendo la pena dei morte per chi si rende responsabile di un simile delitto.
Il suo lavoro lo ha portato in Albania, centro e sud America,India, Sri Lanka, Filippine, Oman, Cipro, Palestina, Somalia, Etiopia, Sud Africa, Iraq, Afghanistan, Ucraina, Sierra Leone.
In Italia ha realizzato un lungo lavoro nell’Istituto Papa Giovanni XXIII°di Serra d’Aiello, in (Calabria). Un istituto psichiatrico dove centinaia di persone vivevano in condizioni di abbandono. Questo reportage è diventato un progetto tradotto in un libro fotografico “In direzione opstinata e contraria” e in una mostra itinerante.
Con Soleterre Onlus ha realizzato un lungo reportage sui tumori infantili derivanti da disastri ambientali, lavorando soprattutto in Ukraina ma anche in Marocco, Salvador e Guatemala.
Da molti anni documenta in Afghanistan i progetti di microcredito della Fondazione Pangea Onlus mentre il suo ultimo lavoro è dedicato ai flussi migratori in Africa, in modo particolare in Mali, Nigeria, Gambia e Senegal.
Nel 2009 ha vinto il premio Eugenio Montale per il fotogiornalismo.

 

Gli appuntamenti

DOMENICA 1 MARZO 2020 ore 17,30 - Presentazione del libro e proiezione

FRANCO ZECCHIN in dialogo con CLAUDIO CORRIVETTI editore di Postcart

Continente Sicilia

Dal 1975 al 1994, Franco Zecchin ha fotografato la Sicilia e a partire dalla Sicilia. Erano gli anni della guerra di mafia e dell’impegno civile.
Le immagini di “Continente Sicilia” nascono dalla tensione tra ricerca estetica e critica sociale. Alla brutalità mafiosa, fatta di omicidi e di attentati, si accompagnano i processi e i funerali. Alle immagini delle esperienze di vita all’interno degli ospedali psichiatrici, si alternano quelle degli spazi urbani, delle feste religiose, degli incontri e delle relazioni in un contesto sociale denso e aperto sul mondo. La prospettiva che propone il libro è antitetica a quella di un’insularità marginale e bloccata nella sua unicità, rassegnata a subire l’oppressione del potere mafioso e incapace di reagire agli stimoli dell’attualità globale. Le proteste universitarie o le mobilitazioni contro le basi
americane ricordano che la Sicilia non è solo il luogo di nascita della mafia ma anche dell’antimafia e di numerose sperimentazioni sociali.

 

DOMENICA 8 MARZO 2020 ore 17 – Conferenza con proiezioni – Visita con gli autori alle mostre

FOTOREPORTAGE. Tra verità, imparzialità e soggettività

GIORGIO BIANCHI – GIOVANNI MEREGHETTI – UGO PANELLA

IL TELEGIORNALISMO AL TEMPO DEI SOCIAL

MATTEO INZAGHI Giornalista, direttore di Rete55 dialogano con Claudio Argentiero

Un dibattito sul tema del rispetto umano, della legalità, dell’informazione, un confronto tra fotografi, giornalisti e le loro esperienze, pronunciandosi anche sulla condizione femminile in alcuni contesti nel mondo, dove legalità e rispetto sono marginali e spesso violati.
Immagini eloquenti realizzate in Siria, Rwanda e Afghanistan si associano alle narrazioni dei tre noti fotogiornalisti, con un focus anche sul ruolo della televisione al tempo dei social, con il giornalista Matteo Inzaghi.
Un progetto ambizioso, che affronta temi sociali legati alla comunicazione, approfondendo il ruolo del fotografo come testimone degli avvenimenti unitamente a quello dell’informazione.
Previsti incontri con studenti per approfondire gli argomenti, nel tentativo di educare, informare e sensibilizzare attivando una sinergico dialogo.
A seguire, visita alle mostre con i fotografi e brindisi.

 

Informazioni sulla Rassegna:
Luogo: Villa Pomini Via Don L. Testori , 14 Castellanza VA
Periodo espositivo: 23 febbraio 2020 15 marzo 2020
Orari di visita: venerdì e sabato 15/19 domenica 10/12 15/19
Ingresso libero
Curatoreartistico : Claudio Argentiero
Organizzazione:Archivio Fotografico Italiano
Segreteria organizzativa Afi : Alfiuccia Musumeci
Sito web: www.archiviofotografico.org
Informazioni e richieste: afi.foto.it@gmail.com / pagina facebook / T 347 5902640 SMS