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Festa della donna - 8 MARZO 2021 - Alda Merini… Fedele alla meraviglia. La poetessa e la donna, in parole, immagini e musica con i suoi amici

 

In occasione della FESTA DELLA DONNA di Lunedì 8 Marzo riproponiamo un estratto dell’evento “Alda Merini… Fedele alla meraviglia. La poetessa e la donna, in parole, immagini e musica con i suoi amici” realizzato a Castellanza nel Luglio 2019.
Si tratta di una serata di poesie e musiche dedicata alla poetessa milanese. Ospiti della serata Dino Azzalin, Simone Bandirali, Michele Sangineto e Giorgio Matticchio che hanno avuto il privilegio di conoscere di persona l’indimenticata poetessa milanese. Il reading è stato realizzato grazie alla collaborazione con Le Voci Narranti della Biblioteca ed è stato impreziosito dalla musica dal vivo della Scuola di Musica Città di Castellanza e dalla regia dell’Associazione Teatro della Corte.

Alda Merini . "Sorridi donna, sorridi alla vita anche se lei non ti sorride Sorridi agli amori finiti, sorridi ai tuoi dolori sorridi comunque Il tuo sorriso sarà luce per il tuo cammino faro per naviganti sperduti Il  tuo sorriso sarà un baxio di mamma un battito d'ali un raggi di sole per tutti

Di famiglia modesta, Alda Merini nasce a Milano nel 1931 nel quartiere di Porta Genova, “…una zona nuova ai tempi, di mezze persone, alcune un po’ eleganti altre no”, ma i bombardamenti su Milano della seconda guerra mondiale distruggono la casa dove la famiglia abitava, obbligandoli a trasferirsi presso una zia  nella campagna vercellese. Ritornata a Milano dopo la guerra, si sposa nel 1953 con Ettore Carniti da cui avrà quattro figlie, Emanuela, Flavia, Barbara e Simona.

 

A quindici anni scrive già le sue prime poesie e fu Giacinto Spagnoletti a scoprirla come autrice e a pubblicare due sue poesie nel 1950 nella "Antologia della poesia italiana 1909-1949".
Pur vivendo in condizioni di estrema povertà, la Merini non abbandona la poesia, anche se già nel 1947 incontra quelle che definirà come "prime ombre della sua mente": viene internata per un mese all'ospedale psichiatrico di Villa Turno. Nel 1951, anche su suggerimento di Eugenio Montale, l'editore Scheiwiller stampa due poesie inedite di Alda Merini in "Poetesse del Novecento" e nello stesso periodo la poetessa conosce e frequenta Salvatore Quasimodo.
Subito dopo il matrimonio con Carniti, la Merini pubblica il suo primo volume di versi (La presenza di Orfeo) e due anni dopo “Nozze Romane” e “Paura di Dio”. Il matrimonio, però, non si rivela facile: alle liti con il marito, violento, fanno da contraltare le sofferenze della Merini, che manifesta una grande fragilità che la accompagnerà per tutta la vita e ne condizionerà l’esistenza.
In particolare dopo una lite con il marito, che rientrato a casa dopo una notte di divertimenti con glia amici, ha inizio un triste periodo di silenzio e separazione dovuto all’internamento in manicomio della poetessa presso l’Ospedale Psichiatrico Paolo Pini di Milano. La poetessa non smette di scrivere, ma inizia un periodo (che arriverà fino al 1972) in cui la donna entra ed esce dal manicomio: un vero e proprio buco nero che lei stessa descrive con queste parole “Per me è stato un miracolo di Dio essere uscita viva da lì. Ho visto morire tanti ragazzi. Mi ha salvata mio marito che veniva a trovarmi, perché chi non aveva nessuno scompariva all’improvviso nel nulla”.
Negli intervalli concessi per i rientri in famiglia, intervalli sempre più brevi a causa delle profonde depressioni che le provoca l’ambiente domestico, nascono tre delle sue quattro figlie. Nel 1972 la Merini esce dal manicomio con un alternarsi di periodi di salute e di malattia con sporadici internamenti in manicomio fino al 1979 quando il ritorno a casa è definitivo e finalmente la donna può ritornare alla scrittura e raccontare la sua esperienza, gli orrori e le torture dell’internamento nell’ospedale psichiatrico, raccolti nel testo “La Terra Santa” pubblicato nel 1984.
Nel 1981 muore il marito e Alda Merini, rimasta sola vive la sua solitudine di artista e donna, in uno stato psichico ancora debole. La non felice situazione finanziaria in cui versa, la porta ad affittare una stanza ad un amico pittore. Nello stesso periodo inizia un’amicizia con il poeta Michele Pierri che aveva dimostrato di apprezzare le sue poesie. L’intesa fra i due si fa sempre più forte, malgrado i trent’anni e la distanza che li separano, fino a quando, nel 1983 decide di sposarlo, solo con rito religioso, e si trasferisce a Taranto dove vi rimane per circa quattro anni. Questo periodo di apparente tranquillità non dura però a lungo, l’aggravarsi delle condizioni di salute di Pierri viene preso come pretesto dai figli del medico-poeta, da sempre contrari al loro matrimonio, per allontanare la scrittrice, che cade in una forte depressione che la riporterà a vivere gli orrori dell’ospedale psichiatrico a Taranto. Tornata a Milano nel 1986, sulle rive del Naviglio, dopo questa angosciante esperienza, la Merini ricomincia a scrivere e a ricucire i rapporti di amicizia. Sono gli anni più fecondi per la poetessa Merini: i suoi lavori vengono pubblicati e le vengono assegnati diversi premi letterari e una laure honoris causa dall’Università di Messina. La battaglia contro la sua fragilità emotiva, messa a dura prova dalla permanenza in manicomio e dalle ombre che popolano la sua mente, trova finalmente un po’ di serenità: la poetessa diventa un personaggio di successo e comincia a guadagnare qualche soldo, ma non cambia il suo modo di vivere come un clochard nella casa sui Navigli, tra i ricordi del passato, i suoi libri, i quadri e le fotografie e le sue inseparabili sigarette. Nel 1993 ottiene il premio Montale Guggenheim, il primo di una serie di riconoscimenti che la accompagneranno fino alla sua morte nel novembre del 2009 a causa di un tumore: la poetessa si spegne fumando le sue amatissime ed inseparabili sigarette, una dietro l’altra fino all’ultimo, incurante dei divieti e di quei tristi giorni restano le sue parole “Ho la sensazione di durare troppo, di non riuscire a spegnermi: come tutti i vecchi le mie radici stentano a mollare la terra. Ma del resto dico spesso a tutti quelli, che quella croce senza giustizia che è stato il mio manicomio non ha fatto che rivelarmi la grande potenza della vita”.
Con la sua vita difficile e la sua opera sofferta, Alda Merini ha segnato la storia culturale non solo di Milano e a tutti coloro che hanno pianto la sua morte non resta che ricordare le due stesse parole “Io la vita l’ho goduta tutta, a dispetto di quello che vanno dicendo sul manicomio. Io la vita l’ho goduta perché mi piace anche l’inferno della vita e la vita è spesso un inferno…. per me la vita è stata bella perché l’ho pagata cara”.
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