Bill Cody, detto Buffalo Bill, è arrivato nell'Italia da poco unita come star del Wild West Show, in cui ricostruisce (a modo suo) la storia della conquista della frontiera e della sconfitta dei nativi americani. Si ritiene innanzitutto un cantastorie, e forse ha appena trovato il nuovo racconto di avventura da immortalare sul suo taccuino: la fuga di Santino, un buttero che ha appena sconfitto lo stesso team di Buffalo Bill in un rodeo improvvisato, insieme a Rosa, moglie del possidente locale che Santino - così dicono - ha ucciso, e che riteneva che la nazione appena costruita dovesse essere "tenuta insieme con armi e ferrovie". E Cody inseguirà Santino più per raccontarne l'avventura che per acquisire la taglia messa sulla sua testa dal padre del possidente defunto.
Sergio Leone è un chiaro punto di riferimento, ma lo sono anche certi film di Bud Spencer e Terence Hill, cui Alessandro Borghi nei panni di Santino somiglia sia nell'aspetto che nella nonchalance, come se tutto gli succedesse per caso.
L'idea di un western che racconti anche le difficoltà di unire l'Italia e il dominio dei profittatori non è nuova: ne ha fatto un film bellissimo e molto sottovalutato, Il mio corpo vi seppellirà, Giovanni La Parola. Ma i registi e sceneggiatori (con Carlo Salsa) Alessio Rigo De Righi e Matteo Zoppis, qui all'opera seconda dopo il folgorante esodio con Re Granchio, aggiungono un gusto personale per la leggenda.
Testa o croce? appare un film di transizione, animato da una fame di rimettersi in gioco e sperimentare con il cinema popolare tanto italiano quanto americano, attingendo tanto alla letteratura della frontiera (il film è diviso in capitoli e il carattere tipografico usato per i titoli è da classico romanzo di avventura) quanto agli spaghetti western.
Il che fa onore a due autori che avrebbero potuto replicare le atmosfere del loro film di esordio, ma la loro ricerca passa da interessante ad eccessiva con una svolta importante sulla quale non possiamo fare spoiler: ciò che fino a quel momento era (quasi) plausibile, almeno nella dimensione leggendaria, diventa surreale e in qualche modo tradisce l'accessibilità di un film il cui primo atto è veramente irresistibile.
Buffalo Bill è interpretato con grazia e ironia da John C. Reilly, Nadia Tereszkiewicz ha il ruolo sensuale di Rosa, ma il film appartiene ad Alessandro Borghi, che si conferma uno dei grandi attori del cinema italiano contemporaneo, mantenendo - lui sì - il perfetto equilibrio fra agiografia e realtà, immaginario (anti)eroico e concretezza: il suo Santino è un cuore puro in mezzo al fango degli affari sporchi, un cowboy con "la forza di un uomo e l'innocenza di un ragazzo". C'è anche un cammeo dell'artista Gabriele Silli, già protagonista di Re Granchio, qui nei panni dell'ambiguo Zecchino.
"Ogni grande nazione è stata fondata sulla violenza", afferma Bill Cody con un sorriso, e l'intuizione di Rigo de Righi e Zoppis è che l'Italia non abbia fatto eccezione, macchiandosi di "atti terribili" per portare avanti un progresso che faceva comodo solo ad alcuni. È bella anche l'intuizione di sfumare il confine fra la storia inventata da un narratore (anche di se stesso) inaffidabile come Buffalo Bill, inserendo la vicenda narrata nel suo repertorio da cantautore folk americano come nella tradizione dei cantastorie italiani. La colonna sonora di Vittorio Giampietro omaggia Ennio Morricone e dunque di nuovo Sergio Leone.
La regia, così come la bella fotografia di Simone D'Arcangelo, è nitida e precisa, ricca di riferimenti e di Easter eggs. Ma il personaggio di Rosa, che molto deve a quello di Jill McBain interpretato da Claudia Cardinale in C'era una volta il West, sembra troppo preoccupato di aderire alle sensibilità contemporanee (ben più intensa e credibile era la Emma di Re Granchio), e quello di un rivoluzionario argentino appare inserito forzatamente nella narrazione. Anche alcune battute di dialogo contrastano con l'epoca raccontata ("Ci mettiamo una vita", "Ma sei scemo?"). Ma è quando il film "perde la testa" che rischia di perdere anche il suo pubblico, e di "stroppiare" in eccentricità.